LA PSICANALISI SECONDO
SCIACCHITANO

"TU PUOI SAPERE, PROLETARIO"

creata il primo aprile 2009 aggiornata il 2 aprile 2009

 

 

La fallacia marxiana

La fallacia marxiana

ovvero

come Marx anticipò Russell

Marx commise un errore, forse due, forse poco meno. Possiamo riconoscerlo senza disconoscere il suo merito scientifico nell’analisi della formazione del capitale e dei modi di produzione capitalistici. Non fu errore economico, né filosofico, né politico. Fu l’errore logico oggi noto come fallacia estensionale. A parziale giustificazione di Marx – i geni abitano l’erranza in territori poco frequentati dal sapere accademico – dobbiamo senza difficoltà ammettere che all’epoca i matematici non avevano ancora stanato l’odioso pidocchio, che solitamente abita le divise filosofiche, preferibilmente quelle con mostrine ontologiche. Si tratta della fallacia – erede ultima dell’antica Onnipotenza dell’Uno, definitivamente codificata dall’idealismo di Hegel, il cattivo maestro di Marx – secondo la quale la portata reale di ogni pensiero è riassumibile in un concetto che ne circoscriva l’essenza, come una regione del piano è circoscrivibile da una linea chiusa. (Versione estensionale della fallacia). Si tratta, cioè, dello stesso errore che a cavallo tra Ottocento e Novecento portò i matematici alle (pseudo)antinomie della teoria degli insiemi. In versione intensionale la suddetta fallacia si formula come principio di comprensione. Cantor lo chiamava, forse meglio, principio di astrazione, in quanto realizza l’astrazione dell'Uno - l'insieme - a partire dai molti elementi che lo compongono (e sono sussunti dal concetto, direbbe Kant). (nota 1) A parole la formula del principio di comprensione suona:

z appartiene all'insieme X di tutti gli x che godono della proprietà alfa se e solo se z gode della proprietà alfa, quando sostituisca un elemento x. (nota 2)

Il principio di comprensione è una sorta di principio di completezza, lo stesso principio che fondò il programma logicista di Frege, che pretendeva di ridurre la matematica a logica. (nota 3) La completezza stabilisce l’equivalenza tra piano dell’estensione (a sinistra del "se e solo se") e piano dell’intensione o concettuale (a destra del "se e solo se"). In parole povere, ogni concetto ha la propria estensione e ogni estensione il proprio concetto. In sostanza, il principio “sutura” la (per molti insopportabile) dicotomia cartesiana tra res extensa e res cogitans. (nota 4) Infatti, per ogni proprietà alfa esiste l’insieme X degli elementi z che godono della proprietà alfa (principio di comprensione forte) e per ogni insieme X esiste una proprietà caratteristica, chiamiamola alfa, che i suoi elementi soddisfano (principio di comprensione debole). Mentre non esistono dubbi sulla validità del principio di comprensione debole (dal concetto all’estensione), quello forte (dall’estensione al concetto) è in generale falso, come dimostra – è solo un esempio tra i tanti – l’antinomia di Russell. Infatti, non esiste l’insieme che sia estensione del concetto: “essere un insieme che non contiene se stesso come elemento”. Non esiste, insomma, quell’Uno Grande che contenga tutti questi elementi, o piccoli “uni”, soddisfacenti alla legge tra virgolette. Non esiste perché la sua esistenza sarebbe autocontraddittoria – proprio lui, il Grande Uno, apparterrebbe a se stesso se e solo se non appartenesse. (nota 5)

Le antinomie si potrebbero moltiplicare e, di fatto, si moltiplicarono. Pochi, tuttavia, riconobbero tra di esse l’antinomia marxiana, addirittura precedente la prima antinomia della teoria degli insiemi storicamente documentata, quella di Russell del 1901, e forse loro archetipo. Si tratta dell’archetipo del logicismo che, perseguito con rigore e accanimento in tutt’altro campo – l’aritmetica – da Frege, si concluse finalmente nel fallimento denunciato da Gödel. Marx come Frege, sto dicendo? Fallimento del marxismo come fallimento del logicismo?

Per spiegarmi non posso evitare un granellino di polemica, ma garantisco che non parlerò dei comunisti che bollono i bambini. (nota 6) L’errore di Marx – credo incontestabile dagli stessi storici di professione – fu di avere elevato a “legge della storia”, come pomposamente la chiamò Engels nel commento al 18 Brumaio, il principio logico di comprensione forte. Nella versione marxiana, tale legge presuppone in linea di principio che,

là dove esiste un conflitto ideologico, esista un sottostante conflitto di classe .

“Sottostante”.

Questa è semplice dietrologia o vecchia ermeneutica, altro che legge della storia! Si giustifica a livello paranoico o di propaganda elettorale, non a livello logico. Marx diede diverse versioni della sua ermeneutica. (Rimase ermeneuta anche quando esortava a smettere di interpretare il mondo e a pensare di trasformarlo). La più nota, perché politicamente la più concreta, è la chiusa del Manifesto: Proletari di tutte le nazioni unitevi! Lo slogan presuppone che l’universale possa riassumersi nell’Uno. Peccato che in questo caso – nel caso di tutte le Nazioni – l’Uno semplicemente non esista e sarebbe autocontraddittorio supporre che esista, come a posteriori hanno dimostrato tutte le storie di totalitarismi, che si sono susseguite nel secolo breve. Come tanti filosofi, specie in area ontologica, anche Marx misconobbe l’esistenza di classi proprie, caratterizzate dall’esistere, pur essendo prive dell’essenza che le unifichi. (nota 7) Nella più limpida terminologia estensionale – proposta da Gödel insieme a von Neumann – le classi proprie sono classi senza metaclassi a cui appartengano come elementi unitari. Ad esempio, “essere un numero pari” è un predicato con un’estensione: 0, 2, 4, … sono numeri pari. Tutti i numeri pari rientrano in questa estensione, la quale è ben un elemento dell'insieme dei sottoinsiemi dei numeri interi. “Essere un insieme che non contiene se stesso come elemento”, invece, è un’estensione troppo grande per avere un predicato che la circoscriva, riducendola a qualche unità elementare. Si possono collezionare molti insiemi che non contengono se stessi come elementi, ma non si possono rubricare tutti sotto un unico concetto, pena cadere in contraddizione. Lo stesso avviene per le classi di Marx. In ultima analisi, Marx fu la vittima illustre, ma non l’ultima, dell’Uno plotiniano, che fomenta l’illusione del potere dell’Uno: il potere che trasforma ogni totalità in unitotalità. Ogni pan sarebbe classicamente - fallacemente - un en. (nota 8)

Polemica a parte la posizione marxengelsiana è chiara. Se c’è scontro ideologico, c’è contrapposizione di concezioni, quindi di concetti. Poiché a ogni concetto corrisponde un’estensione, cioè una classe, dallo scontro ideologico consegue lo scontro di classi. La storia è semplice, la storiografia ancora di più. Il programma politico della lotta di classe si basa esattamente su questa semplificazione fallace.

Si pone, allora, la questione di quali conseguenze politiche derivino da un errore logico. Come un principio filosofico tanto astratto e generale quanto il principio di comprensione forte può arrivare a inficiare l’azione concreta e particolare del politico? Purtroppo, la storia ha già sciolto la questione. Le conseguenze politiche della fallacia logica marxiana sono stati – da poco sono finiti in Europa, almeno – i comunismi. In tutte le sue varianti il comunismo ha sempre tentato, in nome del Bene del proletariato - equivalente del Sommo Bene platonico - e della fedeltà alla dottrina del Maestro - equivalente del credo religioso - , di imporre dittatorialmente l’Uno là dove l’Uno non esisteva di fatto né poteva logicamente esistere, perché una classe, se è propria, non è unificabile. (nota 9). Il comunismo ha generato solo una forma grottesca di Uno: il Partito Comunista, equivalente derisorio e osceno della Chiesa. (nota 10) La fallacia si è estesa, poi, anche alla cosiddetta “analisi” marxiana della storia, il famigerato materialismo storico, miscuglio di ermeneutica e di storicismo idealista. Le contraddizioni che essa andava scovando nel capitalismo – ed è un fatto che nessuno può negare che esistano contraddizioni nel capitalismo – erano semplicemente il portato del principio contraddittorio di comprensione forte che “a monte” guidava l’analisi stessa. Non sarebbe ora di abbandonarla, questa analisi marxista? Cosa ci perderemmo? Solo un po’ di veteroidealismo hegeliano, travestito da scientificità. Con il vantaggio di superare l’inibizione politica. Smetteremmo, infatti, di credere, addirittura di sperare, nell’avvento messianico dell’esplosione della contraddizione che faccia crollare il capitalismo, come l’antinomia di Russell fece crollare il logicismo. A differenza del logicismo, infatti, il capitalismo ci sguazza nelle contraddizioni. Se ne serve bene e a proprio vantaggio. Non possiamo, quindi, sperare di combatterlo, il capitalismo, con il vecchio arnese metafisico del principio di non contraddizione. Ci vuol ben altro che Aristotele per guidare l’azione politica rivoluzionaria. (nota 11)

A scanso di equivoci, pur sapendo che in questo campo sono inevitabili, devo precisare che tutto ciò non lo enuncio da una posizione di centro-destra, come potrebbe sospettare qualche schematico dottrinario di sinistra, e neppure in nome di una vaga libertà di pensiero e d’azione. Non lo dico per buttare Marx alle ortiche. Lo dico per promuovere un collettivismo non comunista. Magari… liberale, almeno scientifico. (nota 12)

A questo punto si dovrebbe aprire un secondo discorso sulle origini filosofiche della fallacia logica di Marx e del marxismo ortodosso.
Il discorso è complesso. C’è innanzitutto da rilevare una componente generica legata all’ortodossia. Qualunque ortodossia, nella misura in cui irrigidisce il pensiero e lo istituzionalizza, introduce una deriva di falsità. È stato così con i grandi maestri del sospetto, come li chiamava Ricoeur: Freud e Nietzsche. Marx non è un’eccezione. I partiti comunisti hanno condotto su Marx un lavoro di falsificazione e di misinterpretazione paragonabile a quello che le società e le scuole di psicanalisi hanno eseguito su Freud, fondamentalmente riducendo la psicanalisi a una psicoterapia tra le altre. I partiti comunisti hanno ridotto Marx a un visionario della rivoluzione, uno dei tanti. Insomma, l’hanno ideologizzato. L’ideologia è difficile da smantellare perché gode di una rigidità e di un’incorreggibilità che è pari solo a quella del delirio paranoico. Infatti, come quello, l’ideologia produce certezze incontrovertibili, quindi non scientifiche. L’ideologia può solo decadere e decade quasi sempre sollevando i polveroni dei monumenti che crollano.

Ma c’è una specificità di Marx che non va persa di vista, pena la caduta in qualche ortodossia comunista. Marx fu, innanzitutto, un filosofo. Come filosofo Marx ebbe un rapporto conflittuale con l’oggetto, e non solo per colpa sua. Il rapporto ambivalente con l’oggetto del filosofo moderno, cioè del filosofo che filosofa in epoca scientifica, è ben delineato nelle prime pagine della Fenomenologia hegeliana. I casi sono due: o l’oggetto cade sotto la giurisdizione scientifica (quindi, ai tempi e secondo l’epistemologia positivista di Hegel, sotto le leggi della misura e del determinismo) o entra in una sfera di inconsistenza logica. In entrambi i casi l’oggetto svanisce dal discorso filosofico. Il dileguamento filosofico dell'oggetto è ben descritto da Hegel. L’inconsistenza oggettuale è dovuta a una quasi contraddizione che colpisce al cuore l’oggetto, cui arreca una ferita mortale - inevitabile nonostante le capriole mediatrici della dialettica hegeliana. Da una parte, dalla parte del Dasein, o dell’esserci, l’oggetto è per sé. Dall’altra, dalla parte del Wesen, cioè dell’essenza, l’oggetto è per altro, in particolare per il soggetto. L’oggetto non è mai in sé, quindi non esiste. Sul quindi il filosofo postkantiano va generalmente in fretta. Kant esibì un pas retenu in proposito. La dicotomia noumeno/fenomeno dimostra la sua prudenza intellettuale, ultima espressione dell’alta considerazione in cui il filosofo di Koenigsberg teneva l’oggetto, che considerava il più elevato concetto della filosofia. (nota 13)

Tuttavia, quel quindi non è propriamente un errore. Esprime piuttosto la struttura essenziale del discorso filosofico. Che nasce con questo destino o finalità: di mancare per sempre l’incontro con l’oggetto. Su questo punto è preziosa una considerazione suggerita dagli pseudomatemi lacaniani dei quattro discorsi. Il discorso principale, secondo Lacan, è il discorso del maestro. Nell’ambiguità del termine francese, maître, il discorso in oggetto si presenta come azione discorsiva del padrone o del maestro, per antonomasia il filosofo. All’interno di questo discorso il soggetto, che costituisce la verità del discorso, non incontra l’oggetto perché lo produce. Lo produce grazie a un sapere alienato nell’Altro, cioè grazie al servo, che diventa ministro, minister, in particolare depositario del sapere tecnologico a servizio del padrone (magister). La distanza tra verità del soggetto e produzione dell’oggetto è abissale. La filosofia deve scegliere e, memore della propria millenaria impostazione metafisica, opta per la verità. L’oggetto diventa (decade a) oggetto della ricerca scientifica, che da allora rimarrà senza verità e dovrà accontentarsi solo di qualche precaria e parziale certezza.

Andrebbe tutto bene se il dileguarsi dell’oggetto non avesse un effetto retroattivo non propriamente positivo sul discorso filosofico. Succede, infatti, che il discorso, non essendo baricentrato dall’oggetto, tende a dissolversi. Come rimediare? Con una terapia antica. Il discorso viene corazzato dall’esterno dall’Uno, dall’Intero. “La verità è l’intero”, predica la citata fenomenologia. Effetti collaterali della cura? Il discorso si teologizza. Ma tant’è. Dio è un modo, seppure improprio, di parlare dell’oggetto. (nota 14)

Il risultato che ci interessa segnalare spiega in parte la fallacia marxiana. Se Tutto è Uno, non esistono classi proprie. Ogni classe è un insieme, unificabile e identificabile attraverso una sua proprietà caratteristica (o altre a essa equivalenti). Gli insiemi si dispongono come le foglie e i frutti della vecchia pianta di Porfirio dei generi e delle specie. L’ontologia ne risulta rinforzata, tanto che modernamente si arma dei dispositivi informatici, ma il lavoro del concetto, ingabbiato com’è nella gerarchia degli uni, ne soffre. E con il lavoro del concetto langue il lavoro della politica, sopraffatta dalle ortodossie di partito. Ma questa per fortuna è storia passata. Resta il fatto su cui meditare. La sostituzione dell’oggetto pieno con l’Uno vuoto svuota la filosofia di fatti e la riempie di interpretazioni del mondo. Persino la tanto promettente tesi del giovane Marx: Die Philosophen haben die Welt verschieden interpretiert; es kommt aber darauf an, sie zu verändern, diventa una vuota interpretazione di un mondo inesistente.

Se si agisce nel nome del vuoto, anche l’azione si svuota.

L'alternativa più gettonata - agire nel nome dell'Uno - porta all'azione bellica.

Non ci sono altre possiblità che o il nichilismo o la guerra?

Il secolo breve, almeno per metà, lo credeva.

Nel nuovo millennio non resta che tentare di uscire dal binarismo 0/1.

 

 

 

(Nota 1) - È un principio di stampo platonico, secondo il quale la cosa è l'idea. (Cantor si appassionava alla lettura del Filebo.) A scanso di equivoci, ricordo che il principio di comprensione della logica matematica ha poco a che fare con l’omonimo principio, contrapposto al principio di spiegazione, proposto da Dilthey per differenziare l’epistemologia delle scienze umane da quella delle scienze naturali. (L’omonimia è solo nella lingua italiana).rincipio di stampo platonico. (Torna su)

(Nota 2) - Per la formula esatta cfr. E. Casari, La matematica della verità. Strumenti matematici della semantica logica, Bollati Boringhieri, Torino 2006, p. 18. (Torna su)

n(Nota 3) - La completezza è la premessa di ogni logocentrismo nonché il principio ispiratore delle ideologie che abbiamo patito nel secolo scorso. Si potrebbe definirla come equivalenza tra sapere e verità o come predominio della teoria sulla pratica. Di fatto è sinonimo di onniscienza. Con  la completezza hanno chiuso i grandi innovatori scientifici: Cartesio (in fisica), Darwin (in biologia), Freud (in psicologia), Brouwer (in matematica) e Gödel (in logica). (Torna su)

(Nota 4) - Hegelianamente parlando, il reale è razionale e il razionale è reale. (Torna su)

l(Nota 5) - Non si pensi che l’inghippo risieda nell’autoriferimento, come potrebbe far pensare la versione puramente logica del paradosso del barbiere, che rade quelli che non si radono. La questione è più profonda. Aczel ha dimostrato che si possono costruire teorie degli insiemi che contengono se stessi come elementi, le quali non sono antinomiche, se l’originaria teoria degli insiemi non lo è. (Torna su)

(Nota 6) - Sulla pratica dell'infanticidio, vera o presunta, lo psicanalista ha qualcosa di pertinente da dire. Riconosce che è una pratica non rara tra i primati, le scimmie antropomorfe non escluse. L'infanticidio risponde, infatti, al principio della diffusione dei geni paterni, là dove il maschio si unisce stabilmente a una femmina, che aveva già dato figli a un altro maschio. Ma lo psicanalista non dovrebbe, altresì, avere difficoltà a riconoscere nell'Edipo il mito invertito della pratica biologica dell'infanticidio. Il desiderio edipico di uccidere il padre non è primario. Rappresenta assai probabilmente l'inversione immaginaria di una realtà che si è verificata nella notte dei tempi e forse anche il mattino dopo - la realtà simbolizzata dal mito di Crono che divorava i propri figli. Freud non poteva non saperlo quando inventò la pulsione di morte e il corrispondente desiderio di acquietare le turbolenze del desiderio. Tuttavia, Freud, che pure amava i miti, non parla di Crono. (Torna su)

(Nota 7) - Alle classi proprie si applica l’ammonizione di Amleto a Orazio: “Ci sono più cose tra cielo e terra, Orazio, di quante ne sogni la tua filosofia”. Amleto intendeva la filosofia del concetto. Insomma, ci sono più classi che concetti. (Torna su)

T(Nota 8) - Tutto ciò venne codificato a suo tempo dall’albero di Porfirio dei generi e delle specie. Oggi viene ripreso dal programma ontologico della filosofia analitica. Il ritorno all’Uno si giustifica come ciò che dà senso al Tutto. Un’operazione ultimamente religiosa. (Torna su)

(Nota 9) - Non vorrei far credere che l’inclinazione totalitaria sia una proprietà caratteristica esclusiva del comunismo. Il nazismo non fu meno caratteristico in questo senso. Secondo Nolte i due totalitarismi storicamente si bilanciarono e produssero una guerra mondiale che fu civile. (Torna su)

(Nota 10) - Grazie al trucco della trascendenza la Chiesa di Roma ha saputo trattare in teoria il principio di comprensione e gestire in pratica il dominio incontrastato dell’Uno molto meglio dei partiti comunisti. Qui si devono correggere sia Marx sia Freud. La religione non è né l'oppio dei popoli né un'illusione. La religione è una necessità sociale, che le diverse organizzazioni religiose affrontano come possono e come sanno, alcune meglio altre peggio. Il dio delle religioni è la società stessa. I preti che officiano i riti religiosi esercitano un controllo sociale necessario alla sopravvivenza della società. (Cfr. E. Durkheim, Les formes élémentaires de la vie religieuse (1912), PUF, Paris 1960). (Torna su)

(Nota 11) - Non dimentichino i “rifondaroli” che Aristotele fu il filosofo del potere antidemocratico, biecamente reazionario, incarnato dal giovane Alessandro, detto poi “il Grande”, perché realizzò la figura universale dell’Uno. (Torna su)

(Nota 12) - Un colpo al cerchio e uno alla botte. Dopo che abbiamo finito con il comunismo, dobbiamo finirla con l'altra ideologia che abbiamo ereditato dall'Ottocento, il liberalismo. La fallacia liberale è di identificare il soggetto con l'individuo. Il liberalismo ignora completamente il soggetto collettivo, quindi le formazioni sociali. I falsi maestri di questa dottrina ("non esistono società, ma individui e le loro famiglie") furono Ronald Reagan e Margaret Thachter. La strada indicata da Freud nella sua Massenpsychologie non è stata battuta dai suoi allievi. I filosofi accademici che parlano di soggetto trascendentale non parlano mai di soggetto collettivo. (Torna su)

(Nota 13) - È interessante riferire l’incertezza di uno psicanalista di formazione fenomenologica sullo statuto dell’oggetto della  scienza. “Il y a quelque chose dans le statut de l’objet de la science, qui ne nous parait pas élucidé depuis que la science est née”. (J. Lacan, La science et la vérité (1965), in J. Lacan, Ecrits, Seuil, Paris 1966, p. 863). (Torna su)

(Nota 14) - Ben a proposito, nelle sue Tesi sulla storia, segnatamente nella prima, Benjamin consigliava al materialista storico di darsi un'infarinatura di teologia. Perché la teologia, per il resto identica alla filosofia, ma in questo diversa dalla filosofia, è un discorso con oggetto. Tuttavia, l'operazione non è semplice. In Italia abbiamo l'esempio di filosofi del giro biopolitico, che l'infarinatura teologica se la sono data, ma senza ancora ritrovare l'oggetto. (Torna su)

 

lo psicanalistas

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

SAPERE IN ESSERE

SAPERE IN DIVENIRE

Torna alla Home Page